Servizio civile: avanti marche!

 

Di Giovanni Pellegri



Un nuovo esercito è attivo in Svizzera! Nel 2000 le persone che prestano servizio civile hanno svolto complessivamente 200’000 giorni di servizio, la maggior parte nel settore sociale e sanitario. Il servizio civile è un’importante occasione di maturazione personale e di crescita collettiva del senso di una maggiore partecipazione ad un’idea di cittadinanza attiva, elementi di indubbio valore per la costruzione di una comunità viva. Questo aspetto deve divenire centrale nel processo di maturazione dei giovani, affinché il servizio civile non rimanga dentro l’arida espressione di una banale occupazione sostitutiva al militare. A cinque anni dall’entrata in vigore della legge sul servizio civile (LSC), la Confederazione intende ritoccare alcuni aspetti contenuti nelle normative federali. Caritas Ticino durante la fase di consultazione terminata lo scorso 31 luglio, ha espresso il suo parere affinché le revisione della LSC tenga conto del ruolo centrale del servizio civile sul piano educativo – servizio civile come scuola di umanità – e sul piano sociale – servizio civile come valore per l’intera società.  Ci auguriamo che la riforma della legge promuova questi concetti, staccando sempre più il servizio civile dalla legge militare, intraprendendo così una coraggiosa svolta culturale. L’alternativa sarebbe di uccide la carica ideale di migliaia di giovani che desiderosi di mettersi al servizio del bene comune vengono confinati in un semplice lavoro sostituivo di tipo occupazionale.

 

La sfida maggiore, in altri termini, è il superamento di un’idea riduttiva di obiezione di coscienza, solo come rifiuto della caserma. Questa sfida deve essere accolta innanzitutto dai giovani capaci di giocare fino in fondo le proprie scelte, ma in seguito deve esistere un substrato capace di rispondere a questa slancio positivo da parte dei giovani. Il servizio civile non è una soluzione di ripiego per coloro che rifiutano il militare, ma deve essere un nuovo e prezioso elemento per la società, scelto in maniera costruttiva e capace di apportare dei valori supplementari alle comunità. La pace e la non violenza si traducono  così come impegno concreto e quotidiano per rendere possibile nuove relazioni tra le persone e l’attuazione di nuove risposte ai bisogni presenti. Attraverso il lavoro svolto dagli obiettori diventa esplicito il fatto che l’impegno di una persona per la propria nazione non è più solo ed esclusivamente quello dell’addestramento armato per la difesa militare. In questo senso il servizio civile deve poter essere equiparato al servizio militare. Inoltre, il servizio civile, se diviene visibile non è solo educativo per i singoli partecipanti, diventa anche testimonianza, ossia cultura della solidarietà.

 

 

La svolta principale è quella culturale

 

Se oggi la legge sul servizio civile è sicuramente un buon passo avanti nella giusta direzione, la sua storia è ancora troppo imbevuta di concetti presi in prestito da una mentalità che vedeva l’obiettore come un caso imbarazzante, una variazione poco desiderata della norma, da “piazzare” o “zittire” con qualche espediente giuridico o lavorativo. Il cambiamento forse più grande che la legge dovrebbe sancire, riconoscendolo e rafforzandolo, è proprio una cultura del servizio civile come nuovo e prezioso elemento della società civile. Da qui uno stile di servizio vissuto non come l’esecuzione di un compito, bensì come opportunità di condivisione tra gli obiettori e i bisogni presenti sul territorio. Lo sforzo maggiore richiesto oggi è quindi prima di tutto culturale, affinché la spinta ideale di uomini desiderosi di apportare un loro contributo alla nazione non sia messa a tacere dentro un lavoro occupazionale. In gioco c’è la credibilità del servizio civile e il non sminuire un potenziale immenso nato dal desiderio di migliaia di giovani che credono nella possibilità di cooperare allo sviluppo di una società più umana. In altre parole si deve superare la mentalità che legittima il disimpegno dei giovani, usando l’obiezione di coscienza come scappatoia legale dalle proprie responsabilità civili. Il servizio civile e l’obiezione di coscienza sono impegni di assunzione di responsabilità altrettanto importanti e seri quanto quelli svolti in altri ambiti.

n villaggio di molti secoli fa: capanne, uomini e donne vestiti con pelli di cervi, che parlano una lingua non più nostra. Tra di loro, un ragazzo: Mauk. Mauk è nato sedici primavere prima, ed è arrivata per lui l’ora della Grande Prova. E’ sera, nel villaggio. Accanto al fuoco stanno i membri della tribù, in silenzio: tramontato il sole, un anziano si alzerà e inzierà a raccontare una storia. Mauk è emozionato, un po’ ha paura, è normale: prima della Grande Prova, anche suo fratello, suo padre e prima ancora suo nonno hanno avuto paura. Qualcuno, prima della Grande Prova, trema e piange.

 

 

Una revisione necessaria

Le conseguenze pratiche per la revisione della legge sono numerose. Innanzitutto se il servizio civile riuscirà a guadagnarsi il giusto riconoscimento che si merita e quindi ad essere considerato come un “plusvalore” per le nostre comunità, allora non si giustifica una durata maggiore di quello militare. Inoltre emerge sempre più il limite dell’audizione che ha la pretesa di sondare il conflitto di coscienza esaminando motivazioni personali difficilmente analizzabili da un organo istituzionale. Insistere sulla credibilità di un conflitto di coscienza cercando di definire giuridicamente i criteri di una sua analisi è perlomeno limitante e inopportuno, soprattutto quando bisogna indagare nella sfera privata di un cittadino che sta già dimostrando il suo impegno per un servizio diverso alla patria. Se il servizio civile è un servizio che ha valore per la società è anche incomprensibile per quali ragioni le persone inabili al servizio militare, non possano offrire il loro contributo al SC, quando sappiamo che le condizioni di ammissione al servizio militare e le caratteristiche necessarie per un impegno del SC sono completamente diverse.

 

Mauk, il bosco e la grande prova

 

All’alba Mauk si sveglierà, uscirà dalla capanna, lasciando dietro sé gli sguardi dei fratelli, una lacrima nascosta della madre. Uscirà accompagnato dal padre e sfilerà davanti alle altre capanne, dove la gente della sua tribù lo guarderà passare, in silenzio. Dove finisce il villaggio, il padre lo affiderà al membro più anziano del clan, che lo accompagnerà nel bosco. Lì, inizierà per lui la Grande Prova. Vedrà crescere e decrescere la grande luna, e questo per quattro volte. Poi, solo dopo la quarta luna, farà ritorno al villaggio. Tornerà, oppure no. Ma se tornerà, non sarà più Mauk: avrà un altro nome, prenderà moglie e vivrà nella capanna costruita con le proprie mani. Mauk sarà diventato un uomo.

 

Facciamo due salti: uno nel tempo, da Mauk ad oggi. Con il secondo salto evitiamo di parlare del (non)senso dell’esercito, della sua legittimità: diamo per scontato che l’esercito sia rifiutato da chi decide di fare obiezione di coscienza e di svolgere servizio civile. Saltiamo tutto a piè pari e parliamo, appunto, di servizio civile.

Al di là dunque di motivi politici, eticomorali o religiosi, scegliere di fare il servizio civile e non quello militare coinvolge l’obiettore e la società al livello profondo della coscienza collettiva: il servizio militare, specialmente i quattro mesi di scuola reclute, è un simbolo forte molto ben radicato nella coscienza elvetica, un simbolo carico di emozioni. In Svizzera tutti gli uomini maschi che non presentano problemi fisici particolari (o psichici...), sono obbligati a prestare servizio militare. A vent’anni, anno più anno meno, ogni giovane esce di casa per entrare in caserma: un passaggio che è ritenuto formativo, un insostituibile momento iniziatico. Insomma, a vent’anni il ragazzo svizzero diventa uomo passando per la caserma. Così dev’essere, così è stato per tuo fratello, per tuo padre e per tuo nonno. Così dev’essere per te.

Se il passaggio dalla casa alla caserma non avviene perché si sceglie di voler passare per altri sentieri, si infrange un mito, si attaccano inattaccabili convinzioni. L’obiettore non si spaventa, oppure un po’  è normale  e va avanti. Passerà da coscienziose commissioni, oppure, se è un po’ più vecchio, sarà passato in linde aule di tribunale giudicato da giudici che la coscienza così linda non l’hanno mai avuta (ma questa è un’altra storia, di un odierno medioevo tutto elvetico).

L’obiettore dice di no alla caserma, non ci crede, non crede che così si diventi davvero uomini. L’obiettore dice di no: così (forse) è ammesso al servizio civile.

E il bosco? Già, il bosco... Il bosco c’è ancora, anche oggi. E c’è ancora e sempre bisogno di momenti iniziatici, di passaggi ben segnati: è così che si cresce. C’è, è vero, un momento in cui il ragazzo diventa uomo. Deve esserci. Quel bosco minaccioso e pericoloso che accoglieva Mauk e i suoi compagni, quel bosco oggi c’è ancora. Non è la caserma, però. La caserma è ordinata, ci sono uomini e uomini e ordini e ordine. Il bosco non è mai stato ordinato: il bosco non accettava regole imposte, il bosco era tutto e di tutti. Nel bosco c’erano belve e insetti, ladri, storpi e assassini che vi si rifugiavano, c’erano uomini e donne, giusti o ingiusti. Nel bosco c’erano i diversi, gli altri, quelli che fuori non ci potevano stare, che non si voleva vedere. Oggi il bosco è ancora così, anzi, in mezzo a concrete e sempre più drammatiche deforestazioni, abbiamo una giungla metaforica di esseri umani che la società non vuole considerare. Ma il bosco oggi è nella società. Le caserme, quelle, le fanno sulle montagne (nelle città, se le fanno, le avvolgono per bene in segreganti fili spinati e alte mura): e lì, mettendo in ordine le setole dello spazzolino da denti, i capi militari riflettono sul mondo. Pensano, seri e convinti di se stessi, che non se ne può proprio più di questi manifestanti anti globalizzazione, di questi preti di sinistra, dei drogati, degli stranieri, di africani portoghesi albanesi e iugoslavi, dì handicappati ma quelli vabbeh ci sono che vuoi farci però che stiano chiusi nei loro istituti. Pensano e pensano e pensano e quando vedono un obiettore che, invece di andare sulle montagne va nel bosco, sorridono beffardi e con superficialità. Ma poi si danno un gran da fare dietro le quinte del parlamento, per far revisionare in modo sempre più punitivo e restrittivo le regole sull’accesso e lo svolgimento del servizio civile.

Sono convinto che la nostra tribù, ops!, la nostra società, ha sempre più bisogno di coraggiosi Mauk che partano nel bosco. Ancora. E se fa paura, beh, è normale.